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“Favuriti”, De Masi: «La luce sta squarciando il buio, dobbiamo dare un futuro ai nostri figli»

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    pmopenlab
  • 8 lug
  • Tempo di lettura: 5 min

Presenti il governatore Occhiuto, «arrabbiato per l’indagine», e i procuratori di Vibo e Reggio, che riflettono su ‘ndrangheta e società, di Antonino Casadonte


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GIOIA TAURO Identità, eccellenze e valori a confronto. Ma anche coraggio, visione e senso di responsabilità, per sé stessi e per la Calabria tutta. Ruota attorno a questi temi il progetto “Favuriti” – termine dialettale che sta per “prego, prendete, servitevi” – nato dall’idea dell’imprenditore Nino De Masi, vittima di svariate minacce da parte della ‘ndrangheta e da anni costretto a vivere sotto scorta, con l’obiettivo di mettere in risalto esperienze virtuose, valorizzare le eccellenze calabresi e stimolare nuove connessioni tra imprenditoria, innovazione, cultura, ambiente e formazione. L’evento si è tenuto nella zona industriale di Gioia Tauro, a due passi dal Porto, casa dell’azienda di De Masi, e ha visto susseguirsi diversi esponenti del terzo settore, del commercio e delle istituzioni. Il momento clou, però, è giunto quasi al tramonto della giornata: il tema “Oltre gli inferi”, protagonisti lo stesso De Masi, il procuratore di Vibo Valentia Camillo Falvo, il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria Stefano Musolino e il presidente della Regione Roberto Occhiuto. Sul tavolo la politica, la ‘ndrangheta, la società e tanto altro.

Occhiuto: «Sono arrabbiato, ma ho fiducia nello Stato»


Primo a intervenire il governatore della Calabria, che parte inevitabilmente dall’indagine che lo riguarda: «Sono un po’ arrabbiato se devo essere sincero, però continuo a lavorare con impegno e determinazione per questa regione grande e allo stesso tempo “amara”, come l’ha definita qualcuno più autorevole di me. Effettivamente c’è il sentimento dell’amarezza, soprattutto quando credi di non meritare certe cose stai male. La Calabria è una regione molto complicata, chi lavora nelle istituzioni e rappresenta il governo regionale, però, non può non essere solidale con le altre istituzioni come la magistratura, che svolge un ruolo importantissimo. Ho avuto modo – aggiunge il governatore – di verificare quanto sia importante il lavoro delle Procure in Calabria. Certo, quando si vive per prima volta una situazione del genere subentra l’amarezza per un’indagine immeritata e spesso si reagisce passando dall’altra parte, ma no – sottolinea – questo non mi riguarda, perché ho sempre detto che bisogna essere riconoscenti a chi con il proprio lavoro e con grande sacrificio si occupa di mantenere la legalità e la sicurezza sul territorio. Si, sono arrabbiato – ribadisce –, però ho grande fiducia nelle istituzioni, perché se non l’avessi avuta non avrei scelto di fare il governatore in Calabria e De Masi, da questo punto di vista, è stato un esempio: la ‘ndrangheta infatti non uccide solo sparando, ma anche ostracizzando chi denuncia, isolando, come ha fatto con lui. Per questo motivo lo ringrazio perché rappresenta uno stimolo, per aver dimostrato che lo Stato in Calabria è più forte della criminalità organizzata e per aver cercato di sovvertire una subcultura che ha fatto ritenere molto spesso la Calabria un luogo in cui lo Stato soccombe sempre».


«La repressione da sola non basta, serve un cambiamento nella società»


Particolarmente emozionante e d’impatto il discorso fatto da Stefano Musolino, improntato sulla criminalità organizzata, la sua evoluzione, il come combatterla. Glielo fa notare anche Pietro Comito, giornalista e moderatore dell’evento, che dice al procuratore: «Ha una grandissima abilità comunicativa, così le domande vengono una dietro l’altra». Un complimento accolto con un sorriso da Musolino, che comincia il suo intervento analizzando la situazione della ‘ndrangheta reggina: «Innanzitutto ringrazio De Masi per l’invito, mi sento in dovere, in qualità di magistrato, di porgergli la mia solidarietà, nella storia della sua famiglia c’è molto della Calabria e delle persone che hanno vissuto e vivono certe dinamiche. A Reggio Centro – spiega – siamo messi bene, nel senso che secondo me la ‘ndrangheta si è indebolita molto, numerosi imprenditori hanno denunciato, e questo è significativo, e non c’è più la stessa libertà di un tempo di andare in giro a chiedere il pizzo: insomma c’è una percezione generale di debolezza». Poi, il procuratore si sofferma sulla criminalità tirrenica, oggetto del suo lavoro da circa due anni: «La situazione è questa: se Piromalli esce dal carcere e va a zappare l’orto di casa siamo a posto, se Pesce dopo anni di galera si occupa della famiglia tanto male, ma se troviamo una società pronta ad accoglierli e riconoscere loro ancora un ruolo apicale, il problema non è risolto, stiamo solo costruendo le basi affinché possano tornare a delinquere». Dal palco del “Favuriti” si scorge la cima delle gru del Porto di Gioia Tauro, inevitabile, dunque, il pensiero al più grande impianto di transhipment d’Europa: «Abbiamo la necessità di garantire che sia sicuro, ma il punto è: si tratta di uno dei maggiori produttori di ricchezza in regione, del posto in cui forse viene assunta più gente e io mi chiedo perché alcuni sono privilegiati, quali sono i criteri per la scelta, come si assumono i lavoratori. Le persone – evidenzia – non vanno via dalla Calabria perché sono “sfigate”, ma per le maggiori possibilità, dato che tante indagini mostrano circuiti massonici che inquinano la pubblica amministrazione, i meccanismi imprenditoriali e le modalità attraverso cui si seleziona personale, come nel caso di Gioia Tauro». Il cambiamento può avvenire solamente attraverso la società: «In questa terra – dice il procuratore – per tantissime ragioni non possiamo negare alcune cose: chi sono le persone, cosa fanno e come funzionano certe dinamiche non devo spiegarlo. Il punto è quanta voglia hanno i cittadini di immaginare un futuro diverso, se siamo in questa situazione è perché alcune dinamiche sono andate in un certo modo. Siamo qua, pochi ricchi e moltissimi poveri, quindi o ce ne andiamo o cambiamo le cose. Della mia generazione, a Reggio Calabria, – sottolinea -, è andato via il 60%, se penso ai miei figli la percentuale aumenta, questa terra è bellissima, abbiamo intelligenze capaci di valorizzarla, però certi sistemi inquinati bisogna spezzarli, e questo non dipende solo dalla magistratura, ne sono convinto». La soluzione, inoltre, non sta tutta nella repressione del fenomeno ‘ndrangheta: «Il tema non è quanti ne arrestiamo, il tema è cosa funziona quando queste persone escono? Abbiamo problemi colossali di cui non parliamo, li ignoriamo, tanti se ne vanno. Non abbiamo bisogno che De Masi faccia l’eroe, lui deve fare solo l’imprenditore, questo è il posto che sogniamo. Questa è la Calabria che dobbiamo immaginare. Non abbiamo purtroppo un numero di forze dell’ordine adeguato a combattere certi fenomeni, dobbiamo fare delle scelte, spesso si tratta di un lavoro coordinato con altre regioni perché lo Stato non ha idea della situazione. Non abbiamo soluzioni – rivela – anche perché molte volte l’idea della repressione tranquillizza, ad esempio se sciolgo un comune per mafia si può pensare “ho fatto quello che dovevo fare”. O ancora, “mi gioco” l’interdittiva, considerando il rischio di dare fiducia a gente che di cognome fa Piromalli e che dice “voglio fare impresa in maniera corretta, fammi lavorare”. Insomma, è più facile dire repressione. Pensiamo infine alla stampa: quando sono spuntati i soldi del Pnrr, le più grandi testate si sono ricordate della ‘ndrangheta solo perché c’era il pericolo che quei fondi fossero destinati alla Calabria. Tutte queste, però, non sono le risposte adeguate».


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